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(it) Italy, FDCA, Cantiere #34 - Editoriale: "L'inverno del nostro scontento" (ca, de, en, pt, tr) [traduzione automatica]
Date
Thu, 19 Jun 2025 07:56:39 +0300
Il titolo di questo nostro editoriale altro non è che la prima frase del
dramma "Riccardo III" di W. Shakespeare. Lo abbiamo citato perché ben
esprime le fasi di crisi profonda dalle quali possono sorgere anche
nuove speranze di riscossa. ---- Non crediamo sia opportuno continuare a
disquisire sulle varie "piazze europeiste" e sui relativi consensi con
esse mietuti, in quanto crediamo che sia più utile alla chiarezza
avviare una riflessione sulla guerra con la quale l'Unione Europea (UE)
tenta disperatamente di inserirsi nella competizione imperialista per il
controllo del mercato mondiale. Gli equilibri mondiali sono regolati da
relazioni bilaterali dove USA e Russia intendono spartirsi le sorti
dell'Ucraina nell'ambito dei rispettivi interessi di potenza dai quali
l'UE è esclusa: in Palestina e Siria per gli USA, in Ucraina per la
Russia. Gli USA perseguono da una parte una politica di accondiscendenza
nei confronti della Russia al fine di allentare, sia pure
temporaneamente, la sua unione con la Cina e, dall'altra, una linea di
aperta aggressività nei confronti degli alleati europei, approfittando
delle loro divisioni interne per acuirle al fine di ridurli sotto
controllo, tendendo così a recuperare risorse in funzione anticinese.
Non è quindi il caso di attardarci in paragoni storici fuorvianti che
paventano scenari apocalittici per mascherare l'attuale corsa al riarmo
che l'UE intende condurre stato per stato. Ci riferiamo ai dati: con la
guerra in Ucraina l'UE ha aumentato le spese militari del 52% a totale
vantaggio dell'industria bellica con un sostanziale consenso dei partiti
di governo e di quasi tutti quelli di opposizione. Per quello che
riguarda l'Italia la Lega e i 5 stelle hanno votato contro con diverse
motivazioni, mentre il PD si è diviso tra un voto favorevole al
riarmo e un'astensione inutile, sia pure mascherata da tutte quelle
tendenze che individuano nel ritorno ai più autentici intenti dei "padri
europeisti" o ai più integrali valori fondanti la costituzione, le
chiavi buone per aprire tutte le porte sbarrate dalla crisi se non,
addirittura, per rifondare una sinistra parlamentare ormai in crisi di
identità e del tutto subalterna agli interessi del capitale. Non si
tratta allora di enunciare un patrimonio di libertà ma, più
obiettivamente, di collocarlo all'interno dei contesti storici e di
classe nei quali si è sviluppato, comprendendo e facendo comprendere,
che alle migliori intenzioni delle borghesie europee è necessario
contrapporre gli obiettivi concreti per la difesa intransigente degli
interessi della nostra classe. Da questo punto di vista, le garanzie
costituzionali facilmente enunciate non servono a garantire quei diritti
che la stessa borghesia ha ampiamente e consapevolmente contraddetto,
realizzando nel corso della sua storia un sistema sociale iniquo basato
sullo sfruttamento e sulla guerra (due guerre mondiali combattute in
poco più di un quarto di secolo) anteponendo, sempre, le esigenze del
profitto e della divisione sociale a quelle della liberazione dal
bisogno, della libertà e dell'emancipazione delle classi subalterne. Per
cui, nel difendere i concetti di libertà, pace, uguaglianza e lavoro,
noi non facciamo riferimento al dettato costituzionale ma alla storia
della nostra classe che può vantare concrete conquiste, anche in materia
di libertà. Questi concetti sono stati difesi nel concreto dal
proletariato mondiale proprio perché parte integrante delle conquiste
che hanno qualificato i suoi percorsi di emancipazione. Esse vengono
meno proprio perché è crollato il tessuto sociale, culturale
organizzativo e di classe che le sosteneva e che le aveva rese possibili
sostenendo quelle spinte verso il progresso delle classi subalterne e il
loro rafforzamento. La borghesia europea non ha risolto le sue
contraddizioni e permane divisa di fronte alle altre ben più agguerrite
potenze imperialiste. Nemmeno la prospettiva di un esercito europeo
appare credibile in considerazione dell'assenza di quell'unità politica
necessaria al decollo di un simile ambiziosissimo progetto. Fallita la
costituzione di un ruolo di potenza europeo all'altezza delle necessità
imposte dalla competizione imperialista, permangono accrescendosi le
debolezze che consentono il riemergere dei mai sopiti rapporti di
forza tra gli assetti imperialisti continentali che vedono la Germania,
terza potenza mondiale, alle prese con una profonda crisi produttiva che
intende superare varando la recente riforma costituzionale che consente
allo stato e agli enti locali di indebitarsi per finanziare il riarmo e
investimenti pubblici (istruzione, sanità, trasporti, infrastrutture
varie, ambiente
), per un totale di circa 1000 miliardi di euro.
L'intento è quello di attrarre soprattutto gli investitori USA che
stanno abbandonando Trump e che si dirigono verso l'Europa, attratti
dall'annunciata corsa al riarmo e dalla considerazione che il mercato
finanziario europeo è in decisa crescita, spinto proprio dall'industria
degli armamenti. In un simile contesto la Germania si candida ad
attrarre anche gli investitori disponibili all'acquisto dei titoli del
proprio debito pubblico evitando di pagare elevati tassi di interesse
entrando così in concorrenza con i titoli relativi al debito pubblico
degli altri paesi europei, che potranno quindi risultare fortemente
danneggiati da uno spread in decisa crescita, anche in considerazione
che la Germania replicherà i propri ostacoli alla possibilità della BCE
di acquistare parte dei titoli del debito pubblico di altri paesi
dell'UE. D'altronde anche l'accresciuto ruolo dell'Inghilterra che, sia
pure esterna l''UE, si candida a suo attivo interlocutore nella cornice
di un riarmo che prevede un'impegnativa quanto improbabile presenza
militare unitaria in Ucraina, è una prova ulteriore che nell'Europa
si agitano forze economiche e politiche tutt'altro che inclini
all'unità, anche in considerazione che l'unico paese in grado di
riarmarsi riconvertendo così il proprio assetto produttivo, fortemente
pregiudicato dalla chiusura del mercato cinese e dai dazi USA, senza
aggredire frontalmente il welfare risulta essere proprio la Germania,
che si ricandida al ruolo di "locomotiva europea", comunque in una
prospettiva nazionale che certamente condizionerà il futuro prossimo e
remoto dell'UE. Molto schematicamente in Italia si assiste a una
continua riduzione della spesa pubblica e a una crescita di valore dei
titoli dell'industria militare che verrà ulteriormente potenziata
dall'incremento consentito da recente "ReArm Europe" per le spese
militari previste fino al 1,5% del PIL. Per l'Italia questa possibilità
significa altri 40 miliardi di spese che produrranno tagli ulteriori ai
servizi essenziali già fortemente aggrediti. Questa tendenza, ormai già
in atto, determinerà un incremento delle polize assicurative private e
una ulteriore corsa dei risparmiatori ai più remunerativi investimenti
nell'industria di guerra secondo una tendenza agevolata dall'UE paese
per paese per impossessarsi del capitale privato dei risparmiatori, che
giace immobilizzato nelle banche. Infine non può mancare un riferimento
alle recenti sconclusioni parlamentari della presidente del consiglio in
riferimento al "Manifesto di Ventotene". Senza entrare nel merito dei
suoi contenuti totalmente decontestualizzati sia dalla maggioranza di
governo che dall'opposizione (il Manifesto viene scritto al confino in
piena guerra mondiale, siamo nel 1941 e, successivamente, il medesimo
Manifesto unitamente ai suoi contenuti sociali più qualificanti così
come, d'altronde, il federalismo, non avranno alcuna pratica influenza
sul divenire delle origini dell'UE e delle sue prospettive), c'è da dire
che la Meloni con le sue esternazioni ha inteso sviare le attenzioni
dalle non sottovalutabili divisioni interne alla maggioranza di governo
nei confronti del "ReArm Europe", (rispetto al quale la lega ha votato
no), per prendere solo un poco più di tempo in attesa del da farsi: un
tirare a campare per mascherare un'evidente impotenza. Questa Europa non
può che essere combattuta in quanto è stata costituita per unificare
l'imperialismo europeo e il fallimento di questo progetto sta producendo
una corsa al riarmo condotta per altro stato per stato nell'esclusivo
interesse delle rispettive borghesie, dell'industria militare, del
capitale finanziario e del militarismo, dove i costi di queste
drammatiche intenzioni ricadranno poi sulle condizioni di vita delle
classi subalterne europee. Ma a guisa di conclusione vogliamo infine
sottolineare una coincidenza per noi significativa e del tutto omessa,
ma che ci sta particolarmente a cuore: alla data della discussa e
sopravvalutata manifestazione del 15 di marzo ultimo scorso indetta da
Michele Serra, è poi seguita la data del 18, laddove sono ricorsi i 154
anni da quando, nel 1871, le donne e gli uomini del proletariato di
Parigi insorsero instaurando la loro comune, che nel suo luminoso e
breve esempio prese il nome di "Comune di Parigi". Il proletariato di
Parigi abolì l'esercito, la polizia, la burocrazia statale liquidando
così lo stato; le differenze salariali tra donne e uomini furono
superate nell'ambito di una sostanziale parità tra lavoro manuale e
intellettuale; l'istruzione e la cultura furono liberate dall'ingerenza
della chiesa e divennero pubbliche, quali strumenti di emancipazione
delle classi oppresse; I beni comuni furono gestiti nell'interesse
collettivo. Fu edificato cioè un sistema economico e sociale certamente
non perfetto in quanto ricco di contraddizioni, ma controllato dal basso
dalle classi subalterne che, in una prospettiva autogestionaria, non
attribuirono deleghe al capitale e alle sue istituzioni statali che
vennero invece liquidate. La Comune di Parigi fu soppressa nel sangue da
una borghesia che si era vista espropriata della sua egemonia economica
e sociale: la repressione fu feroce proprio per lanciare un monito alle
classi subalterne in lotta per la propria emancipazione. Questi non sono
celebrazioni o ricordi, ma più propriamente punti fermi: un secolo e
mezzo è trascorso da quell'evento che ha indicato al proletariato
mondiale la via per la propria emancipazione, in un percorso denso di
vittorie ma anche di sanguinose sconfitte che indicano con grande
chiarezza che "l'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori
stessi", senza deleghe al capitale, alla borghesia e alle sue
istituzioni. Ciò non esime la necessità della concretezza degli
obiettivi che invece devono essere declinati in tutta chiarezza per
essere concretamente perseguibili. Ritenere di fronteggiare
l'imperialismo e le sue guerre stato per stato è illusorio, per cui il
primo passo pratico è iniziare a costruire quel processo di unità
internazionale delle classi lavoratrici tale da culminare in un forte
sindacato europeo che è un obiettivo certamente ambizioso, ma si
configura come l'unico capace di opposi al capitalismo e alla barbarie
che produce.
Nello spirito della "Comune di Parigi" viva l'unità internazionale del
proletariato.
Alternativa Libertaria/FdCA
http://alternativalibertaria.fdca.it/
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