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(it) Italy, Umanita Nova #14-25 - Dal basso e senza permesso. Riscrivere l'aborto, riscrivere il presente (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]
Date
Wed, 18 Jun 2025 09:00:44 +0300
Alle origini -- Il Movimento per la Vita (MpV) prende forma a Firenze
nel 1975, in pieno fermento sul tema dell'aborto. Nasce attorno a un
gruppo di giovani cattolici, "Iniziativa e collegamento", che lancia una
raccolta firme con il documento Dichiarazione in difesa del diritto alla
vita. Il MpV si sviluppa inizialmente senza appoggi partitici, ma con il
sostegno di volontari legati al mondo ecclesiale, ed è guidato da figure
come Carlo Casini. È in questo contesto che viene fondato il primo
Centro di aiuto alla vita, segnando l'inizio di un'attività strutturata
e persistente sul territorio. Dopo il disastro di Seveso, che accende i
riflettori mediatici sul tema, l'aborto entra stabilmente nel discorso
pubblico e in particolare l'attività del movimento si intensifica
proprio contemporaneamente all'ammorbidirsi delle posizioni della DC nel
1977. Con l'avvicinarsi del dibattito parlamentare e il progressivo
ammorbidimento della linea della Democrazia Cristiana, il Movimento
intensifica il proprio impegno e avanza una propria proposta di legge su
"accoglienza della vita umana e tutela sociale della maternità" nella
quale era prevista «la costituzione di centri di accoglienza e difesa
della vita umana», con lo scopo di rimuovere le cause sociali,
psicologiche ed economiche dell'aborto.
Il 22 maggio 1978 infine viene approvata la legge 194 che soli due anni
dopo si trova di fronte alla sfida di ben due referendum, uno da parte
del MpV e uno da parte del Partito Radicale. Con il referendum
all'orizzonte, il Movimento formula due proposte: una "massimale", che
punta all'abrogazione totale della legge sull'aborto, e una "minimale",
che consente solo l'interruzione terapeutica di gravidanza, previa
decisione medica. La Corte Costituzionale esclude la prima, provocando
la reazione critica della Chiesa ma trovando il consenso di molti
intellettuali cattolici, che rivendicano la legittimità del dissenso
interno alla dottrina. La CEI, pur ribadendo la contrarietà all'aborto,
finisce per accettare un compromesso di tipo politico: meglio la
proposta minimale del Movimento che la legge vigente, e meglio ancora la
194 rispetto all'alternativa radicale.
Dopo la sconfitta al referendum del 1981, il Movimento per la Vita
rivede la propria strategia. Comprende che l'opposizione assoluta non
paga in una società ormai favorevole alla legge e decide di operare
all'interno delle possibilità offerte dalla normativa, tra cui l'art.2,
che permette a consultori e ospedali di avvalersi della possibilità di
collaborare con organizzazioni che si occupano di "aiuto alla
maternità", puntando pertanto sull'azione sociale dei Centri di aiuto
alla vita, non a caso in forte espansione proprio in quegli anni. A metà
degli anni Novanta, Carlo Casini e il Movimento rilanciano un dialogo
più proficuo con la politica chiedendo al governo un impegno concreto a
favore del diritto alla vita e della famiglia, sulla scia dell'enciclica
Evangelium vitae di Giovanni Paolo II, che aveva condannato l'aborto
come negazione del diritto fondamentale alla vita e chiamato per un
maggiore impegno e attivismo cristiano sul tema.
Dal Nuovo Millennio: cosa cambia
Gli anni Duemila segnano una svolta nella retorica di coloro che ormai
sono chiamati pro-life, sempre più integrata nei discorsi politici
globali. Un episodio emblematico arriva dagli Stati Uniti: il 22 gennaio
2002, pochi mesi dopo l'attacco alle Torri Gemelle, il presidente George
W. Bush proclama la "Giornata nazionale della santità della vita",
ribadendo un legame sempre più esplicito tra sicurezza, identità
nazionale e difesa della vita sin dal concepimento. In quegli stessi
anni, anche in Italia il fronte anti-abortista si riorganizza, dando
vita a una galassia di movimenti che evolve rispetto al passato: accanto
al Movimento per la Vita - che nel frattempo conta oltre 600 sedi e
circa 20mila iscritti - emergono nuove sigle e alleanze trasversali,
capaci di unire gesuiti, membri di Comunione e Liberazione e dell'Opus
Dei, religiosi, politici di partiti di centrodestra e centrosinistra,
fino a formazioni neofasciste come Forza Nuova.
Il focus non è più solo la legge 194, ma si estende alla bioetica e alla
difesa dell'embrione, soprattutto in relazione alla fecondazione
assistita. Cambia anche il linguaggio: termini come "genocidio" o
"crimine contro l'umanità" entrano nel lessico pro-life, mentre la
condanna dell'aborto si appoggia a presunte basi "scientifiche", come il
riferimento alla sofferenza fetale o alle tecnologie di imaging prenatale.
Questo nuovo attivismo si manifesta in modo visibile al Congresso
Mondiale delle Famiglie di Verona nel 2019, un evento che riunisce
esponenti e finanziatori di un fronte internazionale sempre più
coordinato. Tra gli sponsor figurano Toni Brandi, fondatore di ProVita
(nata nel 2012), il gruppo spagnolo ultraconservatore CitizenGo e
personalità di spicco della destra religiosa americana. Tra questi Brian
Brown, presidente dell'Howard Center for Family, Religion and Society e
vicino a Donald Trump, ma anche Allan Carlson, già membro
dell'amministrazione Reagan. Il caso Verona conferma la piena
transnazionalizzazione del discorso antiabortista: un'alleanza globale
capace di connettere movimenti locali, ideologie religiose e attori
politici di varia provenienza sotto una comune battaglia "in difesa
della vita".
Rinnovato dal nuovo clima internazionale delineato dalla sentenza Dobbs
contro Jackson - una vera e propria vittoria antiabortista - che ha
eliminato il diritto all'aborto riconosciuto a livello federale dal
1973, anche in Italia il nuovo governo Meloni ha riconosciuto una serie
di ulteriori "privilegi" ai gruppi pro-life.
Il 23 aprile scorso il Senato ha approvato un emendamento al Decreto
legge 19/2024. Questo emendamento consente di finanziare, attraverso i
fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), le
associazioni antiabortiste affinché operino all'interno dei consultori.
Le Regioni potranno infatti «avvalersi della collaborazione di soggetti
del terzo settore con comprovata esperienza nel sostegno alla maternità»
per organizzare i servizi consultoriali. In pratica, ciò apre le porte
ai gruppi contrari all'aborto. Non è una novità assoluta, ma ora questa
possibilità gode di un appoggio politico ufficiale, sancito per iscritto.
La presenza di associazioni antiabortiste nei consultori, dunque, non
contrasta formalmente con i frequenti richiami di Giorgia Meloni al
rispetto della legge 194, che in Italia disciplina l'interruzione
volontaria di gravidanza e che da tempo è oggetto di critiche da parte
del movimento transfemminista. L'articolo 2 della legge stabilisce
infatti che «i consultori, sulla base di specifici regolamenti o
convenzioni, possono avvalersi della collaborazione volontaria di
formazioni sociali di base e associazioni di volontariato idonee, anche
per il sostegno alla maternità difficile dopo il parto». È in base a
questo articolo che, nel tempo, i gruppi antiabortisti hanno potuto
trovare spazio nei consultori, spesso sotto diverse denominazioni. Oggi,
però, il sostegno governativo è palese: cambiano i finanziamenti e
soprattutto chi decide quali associazioni potranno operare nei
consultori - non più l'équipe multidisciplinare interna, ma direttamente
le Regioni.
Di conseguenza, questi spazi dedicati alla salute subiranno una
decisione imposta dall'alto. È prevedibile, inoltre, che aumenteranno le
disparità territoriali, con differenze significative nell'accesso e
nella qualità dei servizi offerti da una Regione all'altra, a seconda
degli orientamenti politici locali.
Un presente/futuro inquietante
Negli ultimi due anni, il fronte anti-abortista italiano ha trovato
nuovo slancio, favorito da un clima politico nazionale e internazionale
che ne legittima narrazioni e iniziative. Alcune proposte legislative e
prese di posizione istituzionali mostrano una strategia sottile ma
efficace: dalla proposta di attribuire personalità giuridica al feto, al
riconoscimento del "doppio omicidio" nei casi di femminicidio di donne
incinte, fino alla recente proposta di adozione degli embrioni avanzata
dalla ministra Eugenia Roccella. Questi interventi, pur presentati come
misure di tutela, implicano tutti una ridefinizione dello statuto
giuridico dell'embrione o del feto, con il rischio concreto di minare
trasversalmente il diritto all'aborto. È proprio questo il punto:
nessuna di queste iniziative tocca formalmente la legge 194,
coerentemente con quanto dichiarato più volte anche dal governo in
carica. Eppure, agendo ai margini del dispositivo legislativo, queste
proposte finiscono per indebolirne l'efficacia e metterne in discussione
i presupposti.
D'altra parte, è la 194 stessa - con il suo impianto compromissorio, i
margini interpretativi e l'ambiguità tra diritto e tutela - ad aver
aperto spazi di ambivalenza che oggi vengono sfruttati per colpire
l'autodeterminazione senza abrogare nulla. In questo scenario, il futuro
che si delinea non è quello di un attacco frontale, ma di un'erosione
sistematica e silenziosa, in cui il diritto all'aborto resta formalmente
intatto ma progressivamente svuotato di senso e di applicabilità.
Questa strategia non è isolata: anche a livello internazionale si
assiste a una simile dinamica di riarticolazione normativa e culturale.
Negli Stati Uniti, dopo la sentenza Dobbs contro Jackson molti Stati
hanno introdotto divieti totali o restrizioni severe sull'aborto.
Tuttavia, anche lì, accanto alla repressione diretta, si moltiplicano le
misure indirette: criminalizzazione delle donne e dei medici,
restrizioni all'uso della pillola abortiva, sorveglianza digitale. In
entrambi i contesti, si delinea un presente/futuro inquietante in cui
l'aborto resta formalmente possibile - negli Stati Uniti non in tutti
gli Stati - ma sempre più difficile da praticare. Si tratta di
un'offensiva che unisce nazioni diverse in una comune strategia di
controllo delle capacità riproduttive, agendo non tanto con divieti
assoluti ma con un lento e meticoloso svuotamento del diritto.
La risposta è e sarà sempre la stessa: la risposta è dal basso!
In un contesto in cui il diritto all'aborto viene eroso con strumenti
normativi indiretti, stretto tra proposte legislative insidiose e
narrazioni paternalistiche, la risposta più radicale e necessaria
continua a venire dal basso. È da qui che nasce Facciamo da noi - un
festival sull'aborto, che si terrà il 9, 10 e 11 maggio a Pisa negli
spazi di Exploit e della Casa della donna, organizzato dalla nostra
collettiva Obiezione Respinta (OBRES). Siamo un gruppo nato dal basso e
da un'esperienza concreta di mutualismo - la mappatura degli obiettori e
l'accompagnamento all'IVG - che nel corso degli anni è cresciuto, così
come il lavoro per la costruzione di nuove pratiche per garantire un
aborto libero, sicuro, gratuito, trasformandosi in un vero laboratorio
politico transfemminista, capace di creare reti, pratiche e immaginari
oltre l'emergenza.
In particolare, il 10 maggio alle ore 18, la tavola rotonda ospitata a
Exploit vedrà dialogare alcune tra le realtà più attive nella lotta
internazionale per un aborto libero, sicuro e gratuito: Shout Your
Abortion dagli Stati Uniti, Socorristas en Red dall'Argentina, Le
Planning Familial dalla Francia e l'Ad'iyah Collective dal Regno Unito.
Un momento di scambio fondamentale per riconoscere che l'attacco ai
corpi riproduttivi è globale, ma globale può e deve essere anche la
risposta. Dall'Argentina agli USA, dalla Francia all'Italia, l'aborto
non è solo un diritto: è una pratica politica che afferma autonomia,
crea alleanze e immagina mondi radicalmente diversi. In un presente
segnato da regressioni istituzionali, incontrarsi, raccontarsi e
organizzarsi rimane l'unico antidoto possibile. Perché lo abbiamo sempre
fatto e continueremo a farlo: lo facciamo da noi!
Obiezione Respinta
https://umanitanova.org/dal-basso-e-senza-permesso-riscrivere-laborto-riscrivere-il-presente/
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