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(it) Italy, Sicilia Libertaria #459: HARAKIRI REFERENDARIO (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Tue, 17 Jun 2025 08:33:46 +0300


I referendum che si terranno l'8 e il 9 giugno prossimi si configurano come il mezzo migliore a disposizione del governo di estrema destra per affossare una volta per tutte alcuni diritti sacrosanti che, col miraggio di un voto favorevole, i loro promotori - sindacati e partiti di opposizione - hanno rinunciato con largo anticipo ad agitare nelle piazze e nei luoghi di lavoro. Costoro hanno preferito puntare sul cavallo zoppo di referendum che coinvolgono direttamente solo una parte assai minoritaria della popolazione, confidando nell'effetto di trascinamento che avrebbe potuto avere un altro referendum, quello sull'autonomia differenziata, contro la quale stava formandosi dal basso un ampio movimento di protesta, che la Corte Costituzionale ha pensato per tempo di disinnescare.

Esito prevedibile, da imputare alla leggerezza e all'ignavia strategica dei promotori dei referendum, che poco o niente hanno recepito della lezione che lo strumento referendario negli ultimi decenni ha impartito agli italiani: quando è andata bene, stravolgimento e continua rimessa in discussione del voto referendario; e quando è andata male, affossamento per decenni delle istanze di libertà e di giustizia sociale che veicolavano. A dimostrazione che il referendum abrogativo consentito dalla Costituzione italiana non è affatto al servizio delle classi popolari, come da sempre vanno cianciando presunti e finti democratici, ma è al contrario calato dall'alto, dalle stanze del potere, per incanalare la protesta popolare che va montando.

L'8 e il 9 giugno, com'è universalmente prevedibile, saranno giornate "balneari" in cui i referendum non solo non otterranno il "quorum" dei votanti ma l'astensionismo sarà così massiccio da consentire alle forze della reazione di trarvi utili presagi per altri più arditi pronunciamenti antidemocratici.

A noi anarchici siciliani, che dell'astensionismo referendario abbiamo sempre fatto una questione di principio (rifiuto della delega) oltre che di strategia politica (impedire il recupero e lo snaturamento delle lotte), non rimane che solidarizzare con coloro che maggiormente patiranno la sconfitta che si profila, rimanendo loro sottratto un giusto diritto, e additare, per il futuro, strumenti più efficaci e alternativi alla scorciatoia referendaria e alla mediazione istituzionale. Autoorganizzazione e autogestione delle lotte, democrazia diretta assembleare, radicalità degli obiettivi (unitamente alla capacità di "leggere" la realtà, e immergersi in essa), non devono restare parole vuote ma tornare a caricarsi di effetti dirompenti nei confronti dell'attuale sistema politico e sociale. Saranno esse i veri antidoti alla deriva autoritaria e fascista che ci circonda.

Vediamo ora in dettaglio di che trattano i referendum dell'8 e 9 giugno, avvalendoci della sintesi elaborata dalla Confederazione Unitaria di Base (CUB):

Il primo dei quattro referendum sul lavoro chiede l'abrogazione della disciplina sui licenziamenti presente nel contratto a tutele crescenti del jobs act, impedendo il reintegro anche nel caso in cui il giudice dichiari ingiusta e infondata l'interruzione del rapporto

Il secondo riguarda la cancellazione del tetto all'indennità prevista per i licenziamenti ingiustificati nelle piccole imprese, cancellando il limite massimo di sei mensilità.

Il terzo punta all'eliminazione di alcune norme sull'utilizzo dei contratti a termine, per ridurre la piaga del precariato, superando il limite dei 12 mesi e introducendo l'obbligo di causali per il ricorso al lavoro temporaneo.

Il quarto interviene in materia di salute e sicurezza sul lavoro: in caso di infortunio la responsabilità potrà essere estesa alla all'impresa appaltante, che dovrà avere solidità finanziaria ed essere in regola con le norme antinfortunistiche.

Il quinto referendum abrogativo propone di dimezzare da 10 a 5 anni i tempi di residenza legale in Italia per chi richiede la concessione della cittadinanza italiana.

Appare evidente che i primi quattro quesiti intervengono sulla deregolamentazione delle norme a tutela dei lavoratori, sostenuta negli ultimi anni dai vari governi di destra, "tecnici", e di sinistra, le cui conseguenze sono state l'ulteriore precarizzazione del mondo del lavoro, con migliaia di morti e milioni di infortuni, e l'aumento dello sfruttamento, da un lato, e dei profitti padronali, dall'altro; il tutto grazie anche al ruolo di stampella del capitale rivestito dai sindacati "maggiormente rappresentativi". Il quinto cerca di rispondere alla vulgata razzista, che non è certo nata col governo Meloni (vedasi Turco, Napolitano, Minniti...): sulle norme relative alla cittadinanza le attuali opposizioni istituzionali, quando governavano, non hanno mai osato mettere mano.

Su queste importanti questioni le lotte e le mobilitazioni dal basso, anche radicali, non sono mancate, sebbene non abbiano finora conseguito i risultati sperati. Questi referendum nascono invece dalla convergenza tra un sindacalismo riformista compromesso e rinunciatario, una sinistra ipocrita e parolaia, e settori sindacali e sociali conflittuali ma impotenti. Il loro piano non può che essere quello della sconfitta, trattandosi di un tentativo disperato di sostituire o aggiungere al piano conflittuale quello legalitario e istituzionale.

Chi sa di cose sindacali conosce bene quanto l'attivismo odierno si basi molto su ricorsi legali, cause, conciliazioni, arbitrati ecc. che hanno finito per spostare verso lo specialismo vertenziale il modo di fare sindacato. A tanti queste modalità vanno bene, ma gli elementi più coscienti sanno che esse portano ad una trasformazione radicale dello strumento sindacale: il sindacalismo, per sua natura, non può essere esente da fasi di contrattazione e mediazione, ma se viene meno la centralità della spinta dal basso, della forza d'urto dei lavoratori, esso si trasfigura in un apparato di mestieranti, di patronati e avvocati dediti al mercimonio quotidiano dei diritti altrui.

Da anarchici ci corre l'obbligo di denunciare questa degenerazione, in atto da tempo, e additare la scelta referendaria come la logica conseguenza di pratiche riformiste, diffuse sia al vertice che alla base del mondo sindacale, anche se con diverse sfaccettature, che crediamo debbano essere rigettate.

La CUB, e chiunque in questi giorni sta facendo campagna per i "cinque sì", teme che "al danno delle leggi esistenti si aggiunga quello di un eventuale flop al referendum: la mancata partecipazione darà forza a chi attacca lavoratrici, lavoratori e immigrati che vivono e lavorano in Italia". La paura che lo strumento referendario conduca a un tragico fallimento è giustificata ma l'eventuale flop non sarà stavolta da addebitare a chi vorrà astenersi, ma a chi ha preferito alla via maestra dell'azione diretta un'ambigua scorciatoia dall'esito potenzialmente disastroso.
Federazione Anarchica Siciliana

https://www.sicilialibertaria.it/
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