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(it) Italy, FDCA, Cantiere #34 - I DAZI AL TEMPO DI TRUMP. (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Mon, 9 Jun 2025 08:48:13 +0300


Donald Trump, come aveva ampiamente annunciato in campagna elettorale, ha dato il via ad una politica economica sovranista ed aggressiva nei confronti sia degli storici alleati euroatlantici (in verità sempre assai subordinati...) che di altri paesi. Già dal momento della sua elezione ha fatto sapere che avrebbe imposto dazi su tutta una serie di prodotti provenienti da Canada, Messico, Cina, Unione Europea, e non solo. Così è stato, in particolare nei riguardi delle merci cinesi verso cui si è proceduto già dall'inizio di febbraio con un aumento del dazio generale dal 10 al 20%, a cui Pechino ha ribattuto dicendosi pronta ad una dura risposta commerciale ma applicando tariffe dal 10 al 15% solo su alcuni prodotti agricoli americani: una reazione, almeno per ora, prudente, che lascia aperta la porta a possibili e desiderati negoziati. Anche nei confronti di Canada e Messico era stata annunciata la decisione di un forte aumento della tassazione sui prodotti importati; addirittura, nei confronti del Canada, Trump aveva minacciato un dazio sulle automobili del 50% con l'intenzione dichiarata di far rientrare in patria la produzione fatta in Ontario per conto delle case automobilistiche statunitensi; immediata la risposta canadese con l'annuncio di una tassa del 25% sull'energia elettrica fornita ad alcuni stati del nord ed il rinvio al mittente della provocatoria "proposta" di superare il problema divenendo il 51° stato degli Usa. La conseguente reazione negativa dei mercati finanziari, assieme alle preoccupazioni degli stessi americani, hanno suggerito al presidente di rinviare temporaneamente l'applicazione delle misure annunciate sia nei confronti del Canada che del Messico, giustificando la proroga per quanto attuato da questi governi nel contrasto allo sconfinamento dei migranti. Intanto gli Usa hanno comunicato l'aumento dei dazi dal 10 al 25% sull'importazione di acciaio, alluminio, ed altri prodotti non compresi in questa filiera, dall'Unione Europea che per reazione ha già predisposto un equivalente aumento su merci americane; ma la preoccupazione della U.E. è soprattutto in vista del 2 aprile, giorno in cui si attende l'annuncio statunitense su nuovi dazi che andrebbero a colpire soprattutto alcuni paesi esportatori come Germania, Italia, Francia. Il governo italiano, in particolare, teme per gli effetti sulla filiera agroalimentare, sui prodotti farmaceutici, della moda e delle auto di lusso, ma pure di macchinari ed apparecchiature; il tutto, nel 2023, per un valore di oltre 67 miliardi di euro, con un interscambio totale di 92 miliardi con gli Usa, ed un saldo positivo per l'Italia di 42 miliardi. Ed un altro motivo di tensione con gli alleati europei si è evidenziato con le ripetute manifestazioni di interesse territoriale da parte di Trump nei confronti della Groenlandia, la grande isola vicina al continente americano, con pochi abitanti e molte risorse minerarie, facente parte - pur con una certa autonomia - del Regno di Danimarca; sembrava inizialmente una delle tante battute da campagna elettorale, ma per il presidente statunitense è invece un obiettivo dichiarato. Intanto nell'ottobre 2024, mentre tutti gli occhi erano puntati sulle elezioni presidenziali americane e sulle sue eventuali conseguenze a livello internazionale, la Commissione europea decideva l'istituzione di dazi sulla importazione di veicoli elettrici cinesi ritenuti penalizzanti per le auto europee, a cui la Cina rispondeva con dazi sul brandy, sulla carne, sulle auto di lusso. Come dire: chi è senza peccato...

In realtà l'imposizione da parte degli Usa di dazi sulle merci importate non è nuova; proprio sotto la prima amministrazione di Trump, nel 2018, erano stati applicati dei dazi su merci provenienti dal Canada, dal Messico, dalla U.E., ma soprattutto si era sviluppato uno scontro commerciale con la Cina che aveva causato problemi alle economie di tutti e due i paesi, facendo nel contempo crescere l'incertezza sui mercati a livello internazionale; nell'anno successivo si giunse poi ad accordi tra tutte le parti per regolare gli scambi commerciali. Ma non è una novità neppure nella storia degli Stati Uniti, che pure hanno sempre avuto una politica economica prevalentemente liberista: dazi su alcune merci, e per alcuni periodi, sono stati attuati da diversi presidenti, non ultimo negli anni '80 anche dal campione del liberismo Ronald Reagan nei confronti delle auto provenienti dal Giappone. In quest'ultimo caso l'ebbe vinta l'amministrazione Reagan, ma solo perché i giapponesi valutarono più conveniente non rispondere con ritorsioni economiche per evitare di innescare una devastante guerra commerciale. In generale però questa politica non ha sortito gli effetti sperati. Eclatante fu il caso dell'insuccesso del presidente Herbert Hoover che, dopo il crollo di Wall Street del 1929, approvò una legge che introduceva dazi generalizzati al 20% per proteggere i contadini e le industrie dalla concorrenza straniera, cosa che innescò la reazione di molti paesi europei con la conseguenza sugli scambi tra le due sponde dell'Atlantico che si ridussero di due terzi nel giro di due anni. Il risultato fu che la situazione peggiorò ulteriormente, tanto che il suo successore F.D. Roosevelt firmò in seguito un trattato di libero scambio con diciannove paesi, cosa che portò in quel caso ad un miglioramento della condizione economica del paese. Non possiamo sapere, al momento, cosa sarà annunciato il 2 aprile dal governo americano né quali saranno gli sviluppi futuri di questa attuale "guerra dei dazi", anche se sembrerebbe più probabile che tutto questo serva agli Stati Uniti per impostare un futuro negoziato per raggiungere un riequilibrio della propria bilancia commerciale, che attualmente vede un forte deficit, ed un rientro di quelle produzioni che sono state delocalizzate in altri paesi, soprattutto Canada, Messico, Cina. Vedremo, ma in ogni caso tutto ciò fa parte di un ripetuto ed acceso confronto tra i vari interessi nazionali del capitalismo globale.

L'obiettivo di queste proposte protezionistiche da parte dei vari governi è comunque sempre lo stesso: cercare di salvaguardare gli interessi della borghesia nazionale e le produzioni industriali ed agricole di ogni singolo stato dall'importazione di merci straniere, con la conseguenza della difesa dell'occupazione e quindi della stabilità sociale. Gli effetti però, come abbiamo già visto, non sono quasi mai quelli sperati, e per diversi motivi. Innanzitutto perché l'applicazione di forti dazi rischia di generare delle equivalenti risposte da parte dei paesi che si sentono danneggiati, con eventuali repliche e controrepliche, e quindi con un aumento dei prezzi e con il rischio di una crescita dell'inflazione. Inoltre ormai l'integrazione tra le varie economie è molto sviluppata e non tutti i prodotti sono disponibili a livello nazionale; così, ad esempio, molti di quelli industriali sono indispensabili per la fabbricazione di altre merci, con la conseguenza che un loro maggior costo per i dazi si rifletterebbe sulla capacità produttiva e determinerebbe un rallentamento della crescita economica. Un altro degli effetti delle guerre commerciali può essere quello ancor più grave di innescare una crisi economica globale, con la conseguenza di far crescere una tensione politica che col tempo, aggravandosi, potrebbe sfociare in un vero e proprio conflitto armato, risultato come sempre di evidenti o nascosti interessi economici. Probabilmente non è questo il momento di uno sbocco così drammatico, anche se il confronto degli Usa con la Cina nell'area dell'Indo-Pacifico - ormai principale zona di interesse dell'imperialismo americano - rischia di salire di intensità e di sfociare prima o poi in una guerra che sarebbe mondiale. Questo possibile conflitto, devastante ed esiziale per le sorti dell'intera umanità, sarebbe la conseguenza di un sistema che può anche perpetuarsi illudendo le classi subordinate con il mito della "democrazia", oppure quando ciò non è sufficiente attraverso l'uso della forza e della repressione da parte dei governi, ma che produce solo tensioni e guerre anche a causa di uno sviluppo economico squilibrato tra le aree del pianeta. Di un sistema che distrugge la natura e nello stesso tempo crea una miseria crescente per grandi masse di fronte a ricchezze sempre più spropositate e concentrate nelle mani di pochi. Di un sistema che lascia circolare le merci, pur gravate da dazi, ma che alza muri sempre più invalicabili di fronte alle persone costrette a migrare per le guerre, le persecuzioni, la necessità economica. Di un sistema, quello capitalista, che non può essere riformato ma che deve essere superato lottando per costruire una società autogestita dal basso, solidale, internazionalista, comunista, libertaria.

Mario Salvadori

http://alternativalibertaria.fdca.it/
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