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(it) Italy, FDCA, Cantiere #34 - Prove per la rivoluzione: dallo spazio scenico alla vita reale Cenni per affacciarsi al Teatro dell'Oppresso - Ilaria Paradiso* (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Sun, 8 Jun 2025 07:38:01 +0300


Il Teatro dell'Oppresso inizia a prender forma nel Brasile afflitto dal regime dittatoriale dei Gorillas e verrà sistematizzato in Argentina durante l'esilio di Augusto Boal, intorno al 1974. Il metodo trovò una vastissima diffusione su scala internazionale dopo che il suo fondatore fu costretto ad abbandonare anche l'Argentina. La causa fu l'istituzione di un ennesimo regime dittatoriale. Boal, assieme con sua moglie e suo figlio, si trasferì dunque a Parigi, in Europa. Da quel momento, il TO iniziò a diffondersi su scala internazionale e ad oggi sono circa ottanta i Paesi che hanno incontrato questa metodologia.
Il contesto d'origine, violento e totalizzante, ha inevitabilmente impattato sulla sistematizzazione di questo metodo. Le prime opere messe in scena dal Teatro Arena di San Paolo, di cui Boal fu direttore artistico ancor prima della sistematizzazione del metodo, sono state spesso accostate all'agitprop, termine che ci rimanda direttamente alla Rivoluzione d'Ottobre. In tale contesto, l'obiettivo generale del progetto di agitazione era l'addestramento del popolo che doveva divenire componente attiva nella costruzione del potere sovietico. Gli spettatori erano chiamati in causa per esaminare alcuni casi, analizzare delle azioni che riguardavano l'interesse generale per poi agire, compiendo delle scelte consapevoli.

Il Teatro Arena, ai tempi della dittatura, era un grande punto di riferimento per tutte e tutti coloro che si opponevano al regime. Nelle rappresentazioni da loro proposte, si sviluppava spesso una forte critica alle atrocità del regime militare. Il teatro, dunque, diveniva uno strumento politico ed un mezzo potentissimo per manifestare il proprio dissenso e la propria opposizione al regime cruento. Ben presto, infatti, Augusto Boal ed altri membri dell'equipe del Teatro Arena furono colpiti dalla repressione. Boal fu rapito e torturato, per poi essere rilasciato e costretto ad abbandonare il proprio paese.

Quella del TO è considerabile una pratica vicina all'approccio pedagogico freiriano perché lascia spazio ad oppresse ed oppressi, con l'obiettivo di avviare percorsi di coscientizzazione e conseguenti occasioni di azione concreta. Si passa così dallo spazio scenico a quello della vita reale, cercando di criticare e decostruire azioni e situazioni attuate ed esperite nei contesti di vita.

The reharsal for revolution per usare le parole di Augusto Boal. Una prova generale per aprire percorsi rivoluzionari.

Un altro aspetto rilevante del TO consiste nel tentativo di cambiamento attraverso la presa di coscienza verso l'oppressione che ogni individuo vive. Può trattarsi di un'oppressione esogena ad opera di un soggetto su un altro che si può verificare nelle situazioni più disparate: lavorative, familiari o relazionali. Potrebbe trattarsi anche di una oppressione endogena. Le flic dans la tête è un altro punto focale del lavoro di Boal.

Se nel Brasile degli anni '60 l'oppressione era manifesta e avveniva ad opera del regime, quando Boal raggiunse l'Europa, si rese conto che gli individui erano oppressi pur abitando in contesti democratici. Agivano, sempre per Boal, come se avessero un poliziotto nella testa.

Il processo di de-meccanizzazione, altra teorizzazione fondante dell'arsenale del TO, mira a realizzare anche un'osservazione delle ingiunzioni auto imposte. Perché non riesco a fare tal cosa? Chi me lo impedisce? Qual è il mio oppressore interno?

Per comprendere come si concretizzano le de-meccanizzazioni nel corso dei laboratori teatrali, proverò a fornire un esempio concreto. Quello che di fatto l'arsenale del TO permette di realizzare è un processo di rottura dei meccanismi consueti. Nel pensiero di Boal, i nostri corpi assorbono tutte quelle che potremmo definire ritualità sociali. Esse di fatti non sono solo ed esclusivamente parte del nostro linguaggio ma si riflettono inevitabilmente sui nostri corpi, gesti, movimenti e sulle nostre emozioni e sensazioni. Per mezzo di specifici esercizi si cerca di interrompere quella consuetudine, parte fondante della nostra memoria sensibile. Interromperla, per proporle qualcosa di inatteso, di insolito.

Un esercizio di de-meccanizzazione può essere considerato il seguente: si invita il gruppo di persone presente a camminare con passo consuetudinario nello spazio di teatro e si chiede loro di seguire le indicazioni che la facilitatrice darà. Chi facilita, chiederà

alle persone di fermarsi quando sentiranno "stop" e camminare quando sentiranno "cammina". Dopo poco si inseriranno altre indicazioni: "su" e tutti dovranno tirarsi su, "giù" e dovranno accovacciarsi. Dopo qualche minuto, si chiede al gruppo di invertire i comandi. Solitamente questa parola causa riso, sgomento, sgranamento degli occhi. Allo "stop" si continua a camminare, al "cammina" si sta ferme/i. Al "su" si va giù ed al "giù" si resta in piedi.

La facilitatrice/facilitatore chiede a questo gruppo di persone di fare qualcosa che non farebbero probabilmente mai nel corso della loro giornata. Perché rompere la routine se dobbiamo correre a lavoro? Perché restare in piedi se dobbiamo sederci sulla sedia per lavorare dal nostro computer? E soprattutto, perché trasgredire?

Un semplice e divertente gioco-esercizio che in apparenza non ha troppo da dirci, vuole in realtà stimolare una riflessione collettiva. È interessante concentrarsi sugli effetti che questo gioco provoca sui corpi, ragionare sulle proprie reazioni e su quanto possa costarci, a volte, rompere la consuetudine, uscendo dalla nostra zona di comfort.

È questo quello che il Teatro dell'Oppresso vorrebbe fare nel suo piccolo: dare degli strumenti per ricordarci della concreta esistenza di possibilità alternative a quelle che comunemente esperiamo quotidianamente e sulle quali fatichiamo a interrogarci o, spesso, dimentichiamo di farlo.

Tra le varie tecniche che compongono l'arsenale dell'Oppresso (Teatro Immagine, Teatro Legislativo, Teatro Giornale, Arcobaleno dei Desideri, Giochi-esercizi) un tratto distintivo risiede nel Teatro Forum. Si tratta di un momento di discussione collettiva, in cui si apre la possibilità di intessere ragionamenti con persone che non si sono mai incontrate prima, con l'obiettivo di immaginare e portare in scena soluzioni alternative ad una situazione oppressiva.

Il Teatro dell'Oppresso non è un teatro convenzionale e la specializzazione attoriale in esso non è necessaria. Quella con la tradizione teatrale classica fu infatti una rottura fortemente sentita da Augusto Boal. Egli non solo ritenne necessario avviare un processo di restituzione dei mezzi teatrali al popolo, ma rafforzò ulteriormente questo obiettivo, rendendo possibile l'abbattimento della quarta parete.

La cosa che stupisce di più nel corso degli spettacoli di TO è la parte conclusiva di un atto messo in scena. Solitamente, una performance di TO si interrompe bruscamente nel momento della crisi cinese ovvero l'apice oppressivo della storia narrata. In questo frangente, il/la protagonista vive una condizione fortemente oppressiva ma, allo stesso tempo, ha ancora a disposizione delle possibilità di scelta.

A scena congelata, le luci si accendono e la/il giolli - ovvero colei o colui che facilita gli spettacoli di Teatro Forum - interroga il pubblico. Che cosa avete visto? Cosa è successo? Chi è, in questa scena, la persona oppressa? Chi è invece colei o colui che opprime e scavalca le volontà di tutte e tutti? E tu? Cosa faresti se fossi l'oppressa/o, cosa potresti proporre, che idee hai?

Ed ecco che da semplice spettatrice o spettatore il pubblico si compone di spett-attrici e spett-attori. È chiamato non solo ad osservare attentamente, ma anche ad entrare in scena, a fare suo ciò che vede. Gli si chiede di parlare, empatizzare e ragionare rompendo, con il proprio passo sul palco, quella distanza che intercorre tra chi recita e chi osserva. Quel muro immaginario che irrigidisce i ruoli in un teatro: la quarta parete.

Oggi, le riflessioni critiche sul TO progrediscono e l'attuale dibattito tra coloro che praticano tale metodologia è orientato a potenziare quanto più possibile questo strumento all'interno dell'attuale scenario sociopolitico. Mi riferisco al predominio del neoliberismo che ha condotto inevitabilmente le nostre relazioni ed interazioni sociali ad una flessione. Per dirlo con le parole di Arendt, una forma di atomizzazione, di individualismo sfrenato e declinato nella forma più competitiva ed egoistica che si possa immaginare. Se nelle nostre vite la tendenza è quella di prevalere sull'altro e sovra-determinarlo, allo stesso modo il rischio sulla scena, come confermano anche le parole di Julian Boal, è proprio quello di innescare una corsa all'iper-performatività.

Una gara all'ultimo sangue tra lo spett-attore o la spett-attrice che si affanna per proporre l'idea più simpatica, cruenta o magica che ci sia.

Proprio per questo, l'attuale riflessione verte attorno alla possibilità di creare, nel corso dei Teatro Forum, momenti durante i quali spettatrici e spettattori possano intessere una riflessione collettiva. Ristabilendo, il più possibile e seppur in una breve occasione come quella di una serata di rappresentazione teatrale, la possibilità concreta di potersi confrontare con l'altra/o e riflettere assieme, portando il proprio bagaglio esperienziale e le proprie idee. Risultano inoltre attualmente diffuse numerose declinazioni del Teatro dell'Oppresso. Tra queste, alcune si distaccano profondamente dagli intenti trasformativi originari. Il tentativo di alcune tra le persone che praticano oggi il metodo è quello di tenere salda la memoria circa le sue origini con uno sguardo che non sia ortodosso ma orientato ad assumere un atteggiamento critico per poter continuare a praticare il TO all'interno dell'attuale contesto sociopolitico.

Non sono più tempi rivoluzionari, scrive Julian Boal all'interno del suo ultimo contributo. È difficile non concordare specie se prendiamo in considerazione l'impatto del neoliberismo sulle nostre esistenze.

Come possiamo quindi praticare il TO senza dimenticare il suo valore politico? La sua forma drammaturgica originaria è coerente con quanto tutte e tutti noi oggi viviamo? L'impatto che la tecnologia ha sulle nostre esistenze, ad esempio, rende indispensabile volgere lo sguardo a nuove espressioni delle oppressioni che non si incarnano più esclusivamente in soggetti concreti ma permeano il nostro quotidiano in forme diverse. La pervasività del sistema capitalistico, come ben evidenziato in Realismo Capitalista di Fisher ed espresso anche nel concetto di semiocapitalismo di Bifo, riesce a sussumere e coinvolgere persino pratiche e metodi che vorrebbero opporsi ad esso. Ammette quindi la contraddizione.

Si tratta di quesiti connessi a problemi aperti, sui quali è necessario concentrarsi e riflettere, prendendo consapevolezza che si tratta di domande complesse che sorgono in un mondo altrettanto complesso. Per ora, mi preme sottolineare che il TO è innegabilmente una metodologia teatrale politica perché parte dal basso, guardando alle persone oppresse e lasciando loro spazio di parola ed azione. Un'azione che si sviluppa sul palco per poter, auspicabilmente, raggiungere la vita reale.

Il TO rappresenta uno strappo, uno sgambetto alla frenesia che caratterizza le nostre vite. Una riappropriazione di spazio e tempo, corpi e costruzione collettiva, seppur circoscritta. Riconquistare la propria capacità artistica e creativa senza sentire ostacoli nel poterlo fare perché certi di essere in uno spazio non giudicante. Il TO si propone di creare momenti d'incontro, vuole scombussolare e permettere a tutte e tutti di compiere un grande sforzo di riconoscimento non solo verso se stessi, ma soprattutto verso gli altri. La maggior parte dei giochi-esercizi sono replicati nel silenzio più assoluto, altri invece sono svolti ad occhi chiusi.

Perché l'arsenale del metodo spinge ad ascoltare tutto ciò che si ode, ad osservare tutto ciò che si vede e a sentire tutto ciò che si tocca.

*Educatrice professionale, dottoranda in Scienze pedagogiche, si occupa di Teatro dell'Oppresso con il Collettivo KRILA di Bologna.

http://alternativalibertaria.fdca.it/
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