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(it) Italy, Umanita Nova #13-25 - Dazi nostri. Social standard: un ostacolo all'unità operaia internazionale (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]
Date
Sun, 8 Jun 2025 07:37:44 +0300
L'articolo del professor Emiliano Brancaccio dal titolo «Nè con il
liberismo né col protezionismo: un "social standard"», pubblicato su "Il
Manifesto" del 13 aprile, offre spunti interessanti di riflessione. ----
Brancaccio sostiene che liberismo e protezionismo sono due estremi dello
sfruttamento capitalista, inestricabilmente annodati l'uno all'altro.
---- Per dimostrare questa affermazione Brancaccio non fa riferimento a
meccanismi economici, legati alle caratteristiche del ciclo del
capitale, ma porta come dimostrazione il comportamento altalenante
dell'amministrazione USA relativamente ai dazi e, più in piccolo, le
proposte che la presidente del consiglio italiana ha portato
all'incontro con il presidente USA.
Ho l'impressione che sia scattato in certo qual modo il meccanismo del
determinismo economico, per cui le ragioni delle scelte economiche dei
governi vanno ricercate nell'onnipotenza del Capitale, piuttosto che
nelle scelte di potenza dei governi. Anche gli esempi addotti da
Brancaccio, piuttosto che dimostrare in che modo le scelte dei governi
si adeguino alle esigenze del capitale, dimostrano che in realtà il
capitalismo è più o meno favorito a seconda delle esigenze di potenza
dei governi. Il capitalismo, in ultima analisi, non è che una forma di
dominio, mascherata dalla libertà degli scambi, che lascia inalterata la
separazione fra una minoranza privilegiata, che ha in mano le leve del
dominio politico ed economico attraverso la proprietà privata dei mezzi
di produzione e la violenza concentrata nelle mani dello Stato, e una
maggioranza costretta a lavorare per mantenere questa minoranza. Quando
il capitalismo non è in grado di legittimarsi, di giustificare questo
sfruttamento, allora interviene il governo e la libertà e l'uguaglianza
borghesi cadono a terra, rivelando il carattere di rapporto di dominio
del capitalismo, basato sulla violenza di pochi privilegiati contro la
maggioranza sfruttata.
Piuttosto che dire che protezionismo e liberismo sono due facce della
stessa medaglia capitalista, preferirei si dicesse che sono due aspetti
della politica di dominio dei governi, che con la loro violenza
permettono al modo di produzione capitalistico di sopravvivere.
Questione di parole, dirà qualcuno. Alla fine, siamo sempre noi, le
classi sfruttate, i ceti popolari a pagare il fio delle politiche
governative. Non è solo una questione di parole perché, se il ruolo dei
governi è quello di perpetuare i rapporti di dominio, perde di senso la
proposta che Brancaccio fa nell'ultima parte dell'articolo, cioè di un
"social standard" che impedisca una concorrenza al ribasso dei salari,
dei diritti e delle garanzie ambientali fra le varie economie nazionali.
Si tratta di una vecchia idea del professore, che ha assunto prima la
forma dello standard contrattuale europeo, volta al coordinamento
europeo della contrattazione finalizzata a contrastare la tendenza agli
squilibri della bilancia dei pagamenti e alla deflazione salariale
all'interno dell'Unione; successivamente nel 2016 ha proposto al
Parlamento Europeo l'adozione di uno standard sociale sui movimenti
internazionali di capitale. In questo articolo propone il rilancio del
cosiddetto social standard per la regolazione dei movimenti
internazionali di merci e di capitali.
Il nucleo dello standard, sostiene Brancaccio, consiste in una
limitazione dei commerci con quei paesi che attuino politiche di
competizione al ribasso sui salari, sulle condizioni di lavoro, sui
regimi di tutela ambientale e sanitaria, rispetto a un comune obiettivo
di riferimento e alla posizione da cui partono.
Quanto sta accadendo negli Stati Uniti, e in particolare nel settore
automobilistico, può aiutare a comprendere la portata di questa proposta.
Una proposta simile al social standard è il cavallo di battaglia che il
senatore Bernie Sanders e la deputata Alexandra Ocasio-Cortez,
democratici di sinistra, utilizzano nella loro campagna attraverso gli
USA per combattere quella che definiscono la nuova oligarchia. Anche il
potente sindacato dell'automobile UAW ha un atteggiamento possibilista
sulle tariffe di Trump, perché potrebbero creare nuovi posti di lavoro
negli Stati Uniti.
La speranza dell'UAW - dopo che gli Stati Uniti hanno perso 682.000
posti di lavoro a causa del NAFTA (accordo di libero scambio
nordamericano) - è che le tariffe punitive incentivino la produzione
interna e ricostruiscano la base manifatturiera statunitense. "Con
queste tariffe, migliaia di posti di lavoro ben pagati nel settore
automobilistico potrebbero essere riportati nelle comunità operaie degli
Stati Uniti nel giro di pochi mesi.", ha detto il presidente della UAW
Shawn Fain. In seguito, Fain si è rimangiato la sua dichiarazione,
affermando che ci vorranno anni per costruire un nuovo impianto; ha
affermato comunque che le tariffe potrebbero essere un "incentivo" per
aumentare i posti di lavoro laddove le aziende hanno eliminato i turni,
come nello stabilimento Volkswagen nel Tennessee, dove il sindacato sta
negoziando un primo contratto. Fain ha affermato inoltre che Stellantis
potrebbe ripristinare i 2.000 posti di lavoro persi quando la produzione
del pick-up Ram è stata trasferita in Messico.
Nella contrattazione c'è una "regola": se l'azienda non ti dà una
risposta scritta, allora non crederci. La promessa di nuovi posti di
lavoro legati alle nuove tariffe è appunto una promessa. Quello che è
certo è che non verranno costruite nuove fabbriche, ma i prezzi delle
merci aumenteranno perché le aziende produttrici scaricheranno i costi
dei dazi sugli acquirenti; la produzione invece sarà ridotta a causa del
calo delle vendite e delle difficoltà logistiche, il che probabilmente
si tradurrà in nuovi licenziamenti. Questa la prospettiva, sia che
l'aumento dei dazi avvenga nella modalità confusionaria di Trump sia che
avvenga in quella più elegante e politicamente corretta di Sanders ed
Ocasio-Cortez, ripresa da Brancaccio.
Se i capitalisti approfittano della divisione della classe operaia per
spostare le produzioni là dove essa è più debole o il prezzo della mano
d'opera è più basso, la risposta non è nell'azione dei governi, nel
protezionismo, negli incentivi. Se la classe operaia è divisa, il
problema è unirla al di là delle barriere nazionali. Questa unione è
difficile, ma non si risolve il problema aumentando le barriere fra gli
stati e rendendo più difficile l'unità internazionale di classe. La
soluzione dei dazi alla divisione della classe operaia non è una soluzione.
In realtà il capitalismo sopravvive solo attraverso il costante aumento
dello sfruttamento, che si ottiene riducendo il prezzo della capacità
lavorativa, anche al di sotto del suo valore. Dazi, inflazione, tasse,
sono tutti strumenti che i governi usano per abbattere il costo della
capacità lavorativa e per ridurre il tenore di vita delle classi
sfruttate. L'azione del governo, di qualsiasi colore, non può mai essere
a favore della classe operaia. Credere che i dazi in base al social
standard risolvano il problema della delocalizzazione significa essere
ingenui o in malafede, in ogni caso ostacolare il percorso della classe
operaia verso l'unità internazionale.
Lona Lenti
https://umanitanova.org/dazi-nostri-social-standard-un-ostacolo-allunita-operaia-internazionale/
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