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(it) Italy, Umanita Nova #13-25 - Palestina - fermare il genocidio. Solidarietà internazionale (ca, de, en, pt, tr) [traduzione automatica]
Date
Tue, 3 Jun 2025 07:28:42 +0300
È durata una manciata di settimane la sospensione dei bombardamenti su
Gaza, voluta da Trump per tingere di "buono" la luna di miele con la sua
neo-presidenza. ---- Il 18 marzo gli aerei da guerra e i droni
dell'esercito israeliano hanno ricominciato la loro terribile musica e i
soldati sono tornati ad uccidere anche da terra. Da quel giorno le stime
ufficiali contano altri 1900 morti che fanno un totale di oltre 51000
dall'inizio dell'operazione genocida in corso (ottobre 2023). Inutile
dirlo, sono cifre dal puro carattere orientativo e quasi sicuramente
sottostimate, non potendo essere conteggiate le vittime ancora sotto le
macerie, ma soprattutto le morti indirette per fame, malattie e mancate
cure. Peraltro, è proprio verso i luoghi di cura che la furia
sterminatrice sionista ha nuovamente dedicato una specifica attenzione:
il 13 aprile scorso è stato distrutto l'ultimo ospedale di Gaza ancora
funzionante, dopo che un mese prima, a Rafah, i soldati israeliani
avevano ucciso a sangue freddo 15 soccorritori palestinesi colpevoli
solo di tentare di raccogliere feriti con le loro ambulanze.
Del resto, fin dall'inizio della loro impresa genocidaria le forze
armate sioniste hanno avuto una particolare attenzione per ospedali e
scuole, cioè per quei luoghi che sono fondanti in una società civile.
Una società civile di cui si vuole impedire l'esistenza ad ogni livello
possibile e immaginabile. Ormai i palestinesi di Gaza vivono per lo più
accampati nelle tendopoli, vistosamente sottonutriti, costantemente alla
ricerca di un cibo che scarseggia sempre di più perché dal 2 marzo
Israele non fa più entrare gli aiuti internazionali, a cominciare da
cibo e farmaci. Su questi accampati denutriti si continuano a sganciare
bombe. Quello in corso non è soltanto un genocidio, è anche un grande
esperimento di tortura collettiva verso una popolazione che, a
differenza di quanto avviene in altre zone di guerra, non ha nemmeno la
possibilità di tentare di fuggire altrove (da Gaza non si può uscire). A
Gaza certamente si stanno testando le armi e forse si sta testando anche
la resistenza umana alla sofferenza, come fu già fatto da altri
soggetti, in altra epoca storica.
Peraltro, anche in Cisgiordania - l'altro pezzo di Palestina
insanguinata - le continue aggressioni coordinate tra squadracce di
coloni e soldati israeliani regolari continuano a perseguire la politica
di progressiva espulsione di palestinesi e di spoliazione delle terre.
Ormai ridotta in lembi ristretti di territorio, circondati dagli
avamposti coloniali sionisti, la Cisgiordania sta vivendo anch'essa la
stagione più violenta degli ultimi decenni. In 18 mesi si contano quasi
mille palestinesi ammazzati, cioè molti di più di quelli registrati
nelle fasi precedenti della colonizzazione.
La Cisgiordania e Gaza stanno comunque entrambe nel quadro di
un'operazione politico-militare che appare quanto mai indefinita nella
durata e mancante di rigidi confini nelle ambizioni. Abbastanza spesso,
in svariati ambiti politici e giornalistici, si attribuisce
l'indefinitezza e il prolungamento dell'operazione militare in corso
agli interessi personali di Netanyahu. È ragionevole pensare che, in
effetti, gli interessi di Netanyahu e della sua cricca ristretta un
qualche loro ruolo lo stiano giocando. Prima del 7 ottobre il presidente
israeliano attraversava guai giudiziari e una metà del suo paese
scendeva ogni giorno in piazza contro di lui. È cosa evidente che
l'attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 sia stato per lui salvifico e che
faccia di tutto per prolungare lo stato di mobilitazione militare per
rimanere il più a lungo al potere. Ma pensare che l'orrore di Gaza stia
continuando per volere di un uomo solo, senza il consenso di almeno una
parte importante del complesso militar-industriale israeliano, è ben
poco credibile. Evidentemente Netanyahu gode ancora quantomeno del nulla
osta dei pezzi fondamentali del potere economico, politico e militare
del suo paese. Evidentemente la strada da lui intrapresa risponde
ancora, in una qualche misura, ai problemi esistenziali dei ceti
dominanti israeliani, che nella continua espansione coloniale a danno
dei palestinesi, hanno storicamente trovato un essenziale tassello del
loro folle equilibrio interno. Del resto, fin dall'operazione "Piombo
fuso" del 2008, Israele ha stretto sui palestinesi un'inesorabile morsa
a tenaglia: apartheid duro in Cisgiordania e piccoli saggi di genocidio
a Gaza (periodici bombardamenti a tappeto di un territorio chiuso e ad
altissima densità abitativa). Le operazioni in corso costituiscono
l'elevazione a potenza di questa strategia, attraverso la quale si punta
ad un vero e proprio annichilimento della società palestinese e che,
presumibilmente, rimandano alla prospettiva di una nuova grande
espulsione di masse palestinesi sia da Gaza che dalla Cisgiordania.
Il raccapricciante spot di Trump che mostra una Striscia di Gaza
liberata dagli incomodi palestinesi e divenuta "riviera" per turisti
facoltosi che degustano colorati drink è una vergogna sin troppo
"futurista", ma esprime, comunque, una direzione verso cui qualcuno
pensa di incamminarsi. Non la "soluzione finale", che non è realistica e
neanche conveniente, bensì una rapida apertura di nuovo "spazio vitale"
per la prospettiva della Grande Israele. Senza arrivare all'idea di
deportazioni forzate anch'esse poco realistiche, è possibile che nella
mente di Netanyahu (e di Trump) vi sia l'idea che dopo qualche anno di
inferno come quello attuale, bastino alcune oculate aperture delle
frontiere per determinare un massiccio esodo volontario di disperati; e
così una buona parte del "problema" palestinese sarebbe trasferito ad
altri. Nel frattempo, tanto per non sbagliare, si sperimentano le
cosiddette zone cuscinetto con relativi sfollamenti interni di decine di
migliaia di persone (vedi, ad esempio, a Rafah).
Con un tale contesto, è molto difficile stabilire cosa stia accadendo
nella società palestinese, ma possiamo registrare ancora una volta la
sua intramontabile dignità e resilienza che sembra resistere a qualsiasi
orrore. Al momento, ad esempio, è ancora molto difficile decifrare il
peso e il significato reale delle recenti proteste contro Hamas a Gaza.
Qualcosa di più, invece, possiamo capire su ciò che accade dentro
Israele. Un articolo, apparso sulla rivista israelo-palestinese +972 e
pubblicato sulla pagina FB "Osservatorio mediterraneo di pace",
testimonia che sono circa 100.000 i giovani in meno ad essersi
presentati al servizio militare come riservisti rispetto a quanto
accadeva all'inizio delle operazioni a Gaza. Certo la maggior parte di
coloro che non si arruolano sono definiti "obiettori grigi", cioè non
convintamente contrari alla guerra, ma semplicemente demoralizzati o
stanchi dalla lunga durata delle operazioni in corso; e pur tuttavia
essi costituiscono un campanello d'allarme per la cricca governativa,
soprattutto nel quadro della crisi interna alla società israeliana che
ha preceduto il 7 ottobre 2023, e che la ripresa delle operazioni
militari certamente esaspera.
Allo stesso tempo, la fine della breve tregua "trumpiana" e la ripresa a
pieno ritmo dei massacri, sono elementi che soffiano ulteriormente sul
discredito internazionale di Israele, dando altresì nuova linfa al
robusto movimento internazionale di solidarietà con la Palestina. Un
movimento che sta dimostrando una grande costanza di mobilitazione a
tutte le latitudini, Italia compresa. Un movimento che ha nel
boicottaggio delle merci israeliane uno strumento di pressione
potenzialmente notevole. Un movimento che anche in Italia - al netto di
alcune pesanti influenze politiche che lo condizionano - esprime, nella
gran massa, una diffusa, profonda e viscerale empatia verso la
dolorosissima condizione palestinese. Come tale esso sembra avviato a
divenire un elemento stabile dell'agenda politica nazionale e
internazionale, nella misura in cui la drammatizzazione della vicenda
mediorientale pare, purtroppo, destinata ad occupare la scena politica.
In questo contesto e in questa prospettiva, va salutata positivamente la
grossa manifestazione di Milano del 12 aprile, organizzata dai sindacati
di base e con al suo interno una buona presenza dell'area libertaria.
Altrettanto positivamente va costruendosi la manifestazione del 31
maggio a La Spezia, manifestazione che è contro tutte le guerre e contro
l'industria delle armi, ma è, sin nelle premesse, fortemente segnata
dalla solidarietà al popolo palestinese, contro il genocidio e contro
l'apartheid.
Claudio Strambi
https://umanitanova.org/palestina-fermare-il-genocidio-solidarieta-internazionale/
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